Chiunque sia salito in sella ad una bicicletta almeno una volta nella vita è ben consapevole dei pericoli che fanno da contraltare alle grandi soddisfazioni che la passione per le due ruote spesso procura: dal ginocchio sbucciato del bambino che per la prima volta rinuncia alle rotelle ausiliarie mettendo alla prova il suo equilibrio, ai seri infortuni che ogni giorno pongono a repentaglio la carriera di corridori professionisti navigati e cicloamatori. Per questo motivo la caratteristica principale di chi pratica questo sport è necessariamente il coraggio, che spinge a soprassedere sui rischi che questa appassionante disciplina comporta. Ma spesso il coraggio, da solo, non basta ad evitare spiacevoli incognite: ed anche il corridore più ligio alle indispensabili norme di sicurezza può incappare in incidenti di una certa gravità, indipendentemente dalla propria preparazione. Per questa ragione la ACSI (Associazione Centri Sportivi Italiani) ha deciso di garantire ad ogni suo tesserato una polizza assicurativa che possa coprire gli affiliati in caso di sinistro. Per la sezione ciclismo il consulente assicurativo dell’ACSI è Vanni Adorni, agente generale della Milano Assicurazioni. Sicuramente i cultori delle due ruote non si saranno fatti sfuggire l’omonimia: Vanni è infatti figlio di Vittorio Adorni, vincitore del “Giro d’Italia 1965” laureatosi Campione del Mondo nel 1968 in solitaria sul traguardo di Imola.
Da sempre il suo cognome è sinonimo di ciclismo ai massimi livelli. Ha mai pensato di seguire le orme di suo padre?
“In realtà per tanti anni, essendo cresciuto in mezzo alle biciclette, ho patito una crisi di rigetto: per questo scelsi la pallavolo come sport a cui dedicarmi, con buona pace di mio padre. Negli anni, però, mi sono riappacificato col ciclismo: ora una pedalata coi miei amici, compatibilmente coi miei impegni di lavoro, di tanto in tanto la faccio. Devo ammettere che all’inizio facevo parecchia fatica: avvezzo al calore e alla comodità delle palestre, non riuscivo ad abituarmi ad uno sport così faticoso, soggetto alle intemperie, e soprattutto al rischio che comporta correre su strade aperte al traffico. Invece, piano piano, praticandolo ho cominciato ad appassionarmi e a comprendere come mai così tante persone abbiano scelto il ciclismo”.
Se non a livello sportivo, ha deciso comunque di seguire le orme di suo padre dal punto di vista lavorativo.
“E’ vero: mio padre fu il primo a ricoprire la funzione di consulente per l’UDACE e i suoi tesserati. Devo dire che siamo gli unici ad aver scelto di assicurare i corridori e le manifestazioni ciclistiche cui prendono parte: le altre compagnie lo ritengono uno sport che comporta troppi rischi. Su un bacino di 2500 società, con un totale di 50000 tesserati, riscontriamo ogni anno 1500 sinistri: una casistica molto importante. Per non parlare della responsabilità civile nei confronti di terzi”.
Qual è quindi la ragione per cui voi accettate questo tipo di rischio, mentre le altre compagnie assicurative preferiscono evitarlo?
“Probabilmente perché, grazie anche a mio padre, noi abbiamo un’esperienza tale da poter comprendere meglio di altri quali sono i pericoli di questo sport. Oggigiorno il corridore è esigente in materia di sicurezza, ed è giusto che pretenda certi standard. Per questo abbiamo deciso di assicurare anche le manifestazioni ciclistiche amatoriali: ovviamente è preventivabile che, per esempio, durante una volata ci possa essere una caduta, ma oramai durante queste competizioni i rischi sono prossimi allo zero. Infatti, sfortunatamente i casi di sinistri più gravi capitano durante gli allenamenti, quando certi livelli di sicurezza non vengono rispettati e la circolazione stradale è aperta a tutti”.
Che tipo di copertura offrite ai tesserati ACSI?
“Innanzitutto ci tengo a precisare che la Milano Assicurazioni non fissa alcun tipo di franchigia per i cicloamatori: nessuna percentuale di danno resta a loro carico, non viene richiesto alcun tipo di esborso, e questa la ritengo sinceramente una caratteristica di cui possiamo andare fieri. In secondo luogo, cerchiamo di soffermarci maggiormente sull’evento di gravità maggiore e sulla responsabilità civile dell’atleta, sacrificando un minimo i rimborsi spese per cause di lieve entità”.
Quindi, secondo la sua esperienza, vale ancora la pena praticare ciclismo? O è diventato uno sport troppo pericoloso?
“Come ho avuto modo di sperimentare ultimamente il ciclismo, praticato nelle sedi adeguate, rimane uno sport bellissimo che fa bene alla salute: è una disciplina da praticare in amicizia ed all’aria aperta, che senza l’esasperazione della ricerca del risultato a tutti i costi porta indubbi benefici a livello fisico e mentale. E’ ovvio che la grande passione per le due ruote deve comunque e sempre essere accompagnata da livelli di sicurezza adeguati, per cercare di evitare spiacevoli conseguenze”.
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