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Mario Panichi: 41 anni di attività, 503 vittorie, ma quella più bella arriva da un'aula di tribunale

Magione (Perugia) - “L’inferno e il paradiso sono tutti e due dentro di noi” scriveva lo scrittore e drammaturgo irlandese Oscar Wilde nel suo libro “Il ritratto di Dorian Gray”. Autore dalla scrittura apparentemente semplice e spontanea, con uno stile talora sferzante e impertinente egli voleva risvegliare l'attenzione dei suoi lettori e invitarli alla riflessione. Uno stile utile a raccontare la vita ciclistica di Mario Mariano Panichi. Quarantuno stagioni in sella al cavallo d’acciaio, 503 successi (390 gare amatoriali, 108 gare giovanili, 5 gare tra i dilettanti) tra cui spicca il Campionato del Mondo Master di St. Johann in Tirol, il tricolore strada a Pontremoli, quattro campionato nazionali della montagna e una maglia tricolore della specialità crono coppie in compagnia di Sergio Spagliaccia. Otto maglie azzurre tra gli amatori e una della nazionale pista (stayer), due argenti ai campionati continentali (Austria e Italia) e il quarto posto in Svezia. Dodici campionati regionali strada, otto Mtb e quattro ciclocross, sei circuiti top e master cross vinti. Questo in sintesi il “paradiso” del ciclista magionese.

Ma come in tutte le belle storie arriva purtroppo il capitolo drammatico. In questo mondo vi sono due tragedie: una è non ottenere ciò che si vuole, l’altra è ottenerlo. Questa seconda è la peggiore è la vera tragedia. E proprio quest’ultima emerge quando Panichi viene coinvolto nell’inchiesta Cycling del Nas, siamo nel 2005 e qualcuno ottiene ciò che voleva attraverso una lettera anonima. A durare sono soltanto le qualità superficiali. La natura di un uomo si scopre molto presto. E per Mario si apre un lungo periodo di sofferenza, che la certezza di essere estraneo ai fatti contestati non riesce a lenire e potrebbe distruggere quanto faticosamente creato nella vita. La famiglia, l’attività lavorativa che vedeva Panichi socio nell’esercizio Matè insieme ad Antonello Macellari e Sergio Terlizzi, il mondiale di St. Johann in Tirol. Cinico è colui che conosce il prezzo di ogni cosa e il valore di nessuna. L’ansia non sottrae il dolore del giorno dopo, ma priva Panichi della felicità di ogni dì, il giudizio di amici, conoscenti e semplici appassionati pesa come un macigno, lo spettro del suicidio fa capolino, per cancellare definitivamente questo momento che oscura l’animo di questo guerriero a due ruote. Ma la grandissima forza interiore, la vicinanza della famiglia e degli amici veri, traghettano, colui che un anonimo avrebbe voluto distruggere, verso la vittoria più bella, la piena assoluzione perché “il fatto non sussiste” che segna l’estraneità ai fatti contestati. “E’ come vincere nuovamente il mondiale” esclama Panichi tra le lacrime al termine della lettura della sentenza. Quel mondiale che aveva consegnato nella stagione 2003, il Panichi nazionale, all’olimpo delle due ruote amatoriali.

Una maglia iridata carica di ricordi. “La nazionale, guidata da Maurizio Camerini, mi aveva concesso carta  bianca. Avevo preparato con cura maniacale questo appuntamento. Ero andato al mare a Viareggio con la famiglia e grazie a Roberto Checchi ho conosciuto Mario Cipollini. La mattina mi allenavo con Supermario e i suoi compagni di squadra e il pomeriggio al mare con la famiglia. Mi sono presentato in Austria, carico nel morale e in ottime condizioni fisiche. Maurizio Camerini, che mi conosceva bene, era convinto delle mie possibilità e la sera prima della gara, durante la riunione tecnica, quanto tutti gli azzurri sono stati chiamati a esprimere le loro intenzioni e lo stato di salute, mi disse che durante la riunione mi aveva visto completamente assente, che non avevo sentito nulla di quanto affermato dal resto della squadra perché ero convinto di avere il titolo in pugno. E aveva ragione. In gara ci siamo trovati in fuga in quattro, insieme a me vi erano altri due italiani Angelo Menghini e Landoni, un ciclista veloce che mi aveva più volte battuto in arrivi in volata. Non potrò mai dimenticare e smettere di sottolineare la correttezza di Menghini durante la gara. Ad un certo punto – continua Panichi – ricordo di aver detto ad Angelo, che pedalava benissimo, di provare ad allungare in salita, ma lui rimase al mio fianco. A due chilometri dall’epilogo scatta il ciclista austriaco che era in fuga con noi, Menghini chiude sul battistrada negli ultimi mille metri e i due conquistano venti metri di vantaggio, mentre Landoni mi controlla. Il lungo vialone d’arrivo si apriva davanti ai nostri occhi e agli ottocento dalla linea bianca, scatta Landoni. Io resto alla sua ruota, raggiungiamo i due battistrada e al cartello dei centocinquanta metri la volata è lanciata. Un testa a testa serrato, le gambe diventano pesanti e spingere il rapportone è quasi impossibile. Un ultimo sguardo al mio avversario e penso, se continuiamo così io cedo. Invece mentre la mia mente elabora tale ragionamento è Landoni a cedere di schianto. E il successo iridato non è più un sogno. Un mondiale che appartiene anche ad Angelo Menghini”.

Qual è stata la vittoria più belle della tua lunga carriera?

Sono tre le vittorie che non dimenticherò mai. Il mondiale inseguito per otto lunghi anni. Il successo alla Gran Fondo Carpi, con la diretta Rai degli ultimi venti chilometri, il maxi schermo che irradiava le immagini della nostra fuga a dieci tra cui l’ex professionista Colagè. Conquistai il successo in questa manifestazione, grazia alla mia astuzia. Tutti mi controllavano e io ero in testa. Prima dell’ultima curva mi sono spostato e ho lasciato passare gli altri, portandomi in ultima posizione. Dopo la curva il drappello si è allargato e io da dietro sono riuscito a sorprendere tutti e vincere. Indimenticabile anche la trasferta in Giappone per partecipare a due gare nell’isola di Hokkaido con 1500 partenti. Due prove, una in circuito di 60 chilometri e l’altra di cento chilometri. Avevo raggiunto il Giappone grazie a Aki Emi che era riuscito a farmi invitare alla kermesse. I primi cinque giorni fui accompagnato a visitare il la nazione, ma io volevo andare in bicicletta. Riuscii a salirvi proprio nel giorno in cui si celebrava la cerimonia di presentazione dei partecipanti ed arrivai in ritardo allo stadio. Tra i partecipanti vi erano molti pistard e visto che la prima prova era in circuito, avevo deciso di non partecipare. Per farmi perdonare dell’arrivo in ritardo alla presentazione presi il via anche a questa prova che riuscii a vincere. Poi mi sono aggiudicato anche la seconda gara”.

Qual è stata la sconfitta più bruciante?

Sono due gli episodi che hanno segnato la mia carriera sportiva, lasciando un vuoto nel palmares. L’europeo in Svezia, ove fui battuto dall’ex professionista Pezzetti che non collaborò durante la gara, quando eravamo in quattro in fuga in compagnia di un ciclista svedese e un norvegese. Io invece mi sono prodigato a chiudere tutti i buchi e nel finale mi ha battuto in volata, mentre io stavo controllando i due ciclisti stranieri, visto che il mio connazionale mi aveva detto di non averne più. A Spoleto, un altro secondo posto europeo frutto di una condotta di gara non convenzionale da parte dei portacolori della nazionale. L’europeo è dunque il successo che mi manca e non nego che magari nelle categorie riservate ai ciclisti più longevi possa provare a conquistare questo titolo

- Tante vittorie, ma anche molti infortuni  e momenti bui

Quando vinci tutto è bello e semplice, ma sono le cadute o i momenti bui della vita che ti insegnano tante cose, che ti fanno riflettere. Io ho sempre gareggiato con la massima onestà, sottoponendomi sempre ai controlli antidoping. Vista l’assoluzione piena, in quanto il fatto di cui io, Sergio Terlizzi e Sergio Spagliccia eravamo accusato non sussiste, non avremo neanche dovuto subire questo processo. Sono stati sei anni durissimi che avrebbero potuto distruggere tutto quello che abbiamo costruito con tanta fatica. Momenti che non auguro neanche al mio peggior nemico. Io ero pulito, ma trasmetterlo agli altri non era facile. Da tanta sofferenza ho imparato a non giudicare subito nessuno, rispettare gli altri e comprendere come alcune persone possono effettuare gesti estremi a seguito di ingiuste accuse. Nonostante tutto non ho mai ceduto grazie al supporto di tanti amici e di mia moglie Sonia. Poi la caduta con relativa frattura al femore nel 2011. I medici mi avevano messo in guardia e informato che non avrei più potuto ripetere le performance di prima. Ma anche in questa occasione sono riuscito a trovare la forza per reagire e quattro mesi dopo l’intervento ho conquistato il secondo posto alla Gran Fondo Cesarini di Terni”.

Attraverso il ciclismo hai conosciuto anche tua madre

Si è vero. Mia madre due anni dopo avermi dato alla luce si trasferì in Svizzera. Io all’età di 28 anni partecipai ad una gara in Svizzera e conobbi mamma Ursula – gli occhi diventano lucidi e l’emozione fa capolino sul viso di Mario Panichi, che sino a quel momento aveva espresso con foga e rabbia tutto quello che la vita gli aveva riservato – momenti indescrivibili, l’abbraccio e le lacrime che hanno suggellato lo splendido rapporto che ho oggi con mia madre”

- Una vita in bicicletta, a chi devi un grazie

A mio padre Mariano e mio zio Walter che mi avviarono al ciclismo, nell’ormai lontano 1971, tra i giovanissimi categoria A. Ricordo bene la mia prima bicicletta una Aquila che mi fu regalata da mio padre. Sonia mia moglie che ha condiviso e mi ha permesso di gareggiare per  41 stagioni, ai miei figli Alessio e Desirèe che mi hanno sostenuto e amato. E non è stato sempre facile. A Italo Minestrini, un vero e proprio maestro di sport e di vita. Sergio Terlizzi, socio nella società Matè, che mi è stato sempre vicino e presente nei momenti più duri. A tutti quelli che hanno sempre creduto in noi, anche nei momenti più bui. Ai fisioterapisti Mirco Rossellini, Salvatore Cannoni, Umberto Panichi e Mirco Belia che in tante occasioni sono riusciti a manipolare con estrema bravura il mio corpo e rimettermi sempre in sella. A Vladimiro che in quei 6 maledetti anni mi ha accompagnato su tutte le gare facendomi stare tranquillo e sicuro da tutte le mie pressioni e paure causate da quelle contestazioni infondate sul doping. A mia zia Mara e ai miei suoceri che mi hanno trattato sempre come un loro figlio.

Ad Antonio Silvestri, il cui ricordo resterà per sempre nel mio cuore. Antonio è deceduto in un incidente, mentre si allenava, il 15 Giugno 2008. Quel giorno io vinsi la Gran Fondo Porsenna e mentre ero in fuga, lui era venuto a sostenermi a Monte del Lago. Al termine della manifestazione l’ho chiamato per comunicargli la splendida notizia. Ci sentivamo una volta al giorno. Il telefono squillava, ma non ebbi alcuna risposta. Quel pomeriggio andai a pesca con mio figlio, poi ho saputo che Antonio era deceduto in un incidente stradale a Castel Rigone. Ha lasciato un grande vuoto in me. A Raphael, amico vero e disinteressato e per questo io lo considero un vero e proprio fratello. A Maurizio Camerini, dirigente sportivo e amico che ha sempre creduto nelle mie potenzialità, mi ha sempre sostenuto e addirittura mi è stato vicino anche nei momenti peggiori affermando che un giorno avremo vinto entrambi anche questa dura battaglia. E così è stato.

Ai miei cugini Marco, Ettore, Cinzia, Baby, David, membro di un'associazione che promuove attività ciclistica tra i malati di diabete e Luca. Quest’ultimo in occasione di diversi infortuni mi ha spronato a riprendere immediatamente l’attività motoria. Una persona straordinaria che rinnova stagione dopo stagione, con le sue imprese e la forza che riesce ad incutere agli altri, il messaggio che la vita può cambiare in tutti i suoi aspetti, ma è importante per ciascuno di noi trovare il giusto rapporto con lei e vivere appieno ciò che riesce a darti anche nei momenti più grigi.  Infine gli avvocati Francesco Falcinelli e Pietro Gigliotti che hanno assunto le nostre difese durante tutto l’iter processuale e anche grazie alla loro professionalità siamo riusciti a vincere quello che era soprattutto un processo mediatico

 

Che cosa riserva il futuro a Mario Mariano Panichi ora che ha messo la parola fine all’attività agonistica?

Il futuro? Meglio  iniziare dal presente. Spazio alla famiglia che per troppi anni ha sofferto della mia assenza o dedizione all’attività sportiva, oggi piuttosto che un’uscita in bicicletta preferisco andare a pesca con mio figlio o condividere gli interessi di mia figlia Desirèe.  Insieme a Sergio Terlizzi abbiamo elaborato molti progetti per la nostra attività. Un ampliamento del negozio, la crescita della società di servizi e qualora riusciamo ad avere il sostegno economico da parte del tessuto industriale della nostra provincia, vorrei dar vita ad una formazione giovanili per mettere a disposizione dei giovanissimi i miei 41 anni di esperienza in bicicletta”.