E’ stato durante la Tirreno-Adriatico, la cicloturistica svoltasi ad ottobre scorso, che per la prima volta incontro Matteo Marzotto. Mi viene presentato da Max Lelli la mattina del 26 ottobre poco prima di partire per l’impresa “eroica” che sarebbe durata tre giorni sotto acqua e freddo. Matteo indossa la divisa bianca con il logo verde della FFC. Lo scopo della cicloturistica era, infatti, quello di portare un messaggio di sensibilizzazione in favore della Fondazione per la ricerca sulla Fibrosi Cistica. Ha un fisico da corridore e sembra molto più giovane di quel 1966, anno di nascita che gli imputa l’anagrafe di Roma dov’è nato, anche se poi è cresciuto in Veneto. La temperatura non supera i 16°C, il cielo è grigio e le previsioni mettono acqua, ma lui ha un pantaloncino corto estivo, manicotti ed un bel sorriso. E’ cordiale e gentile con tutti, anche se poi, sulla prima asperità di Manciano della 1° tappa partita dall’ Argentario, darà filo da torcere a chi, come il sottoscritto, pensava che Marzotto fosse un ciclista novellino, ex motociclista (suo primo grande amore nello sport) ed un “don giovanni”, oltre che un grande imprenditore. I suoi numeri, infatti, parlano chiaro: Presidente di Valentino Spa fino al 2008, e tra le sue fidanzate ve ne cito solo una, Naomi Campbell (la pantera nera), le altre ve le lascio immaginare. Non completa gli studi universitari, ma fin dal 1992 lavora nell’ azienda di famiglia, la Marzotto Group (una filiera di moda fondata nel 1836), impegnata da tre generazioni nel tessile e nell’ abbigliamento.
Quinto dei 5 figli avuti dall’unione tra il Conte Umberto Francesco Marzotto e da Marta Vacondio (Marzotto), anche se molto legato al nonno, il Conte Gaetano Marzotto. Matteo Marzotto è sicuramente un figlio d’arte dalle origini nobili a cui non è mai mancato niente, ma ammette che è stato lo sport, praticato fin da piccolo, ad insegnarli che nella vita non ci sono scorciatoie. Quella dei Marzotto, oltre ad essere una famiglia di nobili imprenditori è anche una famiglia con lo sport che gli scorre nelle vene al posto del sangue. Amici dell’ Ing. Ferrari, sia il padre che lo zio Giannino, possedevano la Scuderia Marzotto, con la quale affrontavano corse come il Giro di Sicilia, la Coppa delle Dolomiti e la mitica Mille-Miglia. Matteo ha iniziato da piccolo con il Motocross, per poi approdare alla Supersport nel 2009-‘10. La bicicletta lo ha accompagnato fin dal 1985 quando la usava per allenamento alle ruote artigliate. Ha iniziato a fare granfondo agli inizi degli anni ’90, molte delle quali con il suo amico fraterno Paolo Barilla, con il quale ha condiviso anche la Parigi-Dakar del 2002. Una vita dedicata a donne e motori, potremmo quindi dire, ma in tutti gli sport Matteo Marzotto ha sempre sventolato la bandiera bianco-verde della FFC, fondazione di cui Marzotto è Vice Presidente, per far conoscere il messaggio solidale sia alla Dakar, nella Supersport che nel Ciclismo. La fibrosi cistica è una brutta malattia ereditaria che attualmente, purtroppo, oltre a portare a morte certa chi ne è affetto entro i 40 anni, a soli 32 anni ha stroncato anche la vita di Annalisa Marzotto, sorella dell’imprenditore, che è portatore sano di questa terribile malattia. L’occasione per un intervista è stata quella di un pranzo nella casa della sua tenuta in Maremma, dove abitualmente l’imprenditore milanese giunge in elicottero di cui, ovviamente, è lui il pilota oltre che il passeggero.
Chi è Matteo Marzotto? Raccontaci un po’ dove nasci cresci e come sei arrivato alle cariche che hai ricoperto fino ad oggi?
“Sono figlio di Marta e Umberto, nato a Roma 46 anni fa, quindi sono, come si suol dire, già un signore di mezza età. Quinto di cinque figli, nato nella capitale, poiché mia madre in quel periodo lavorava prevalentemente a Roma, anche se mi ritengo veneto a tutti gli effetti. Ho fatto la parte più importante delle scuole a Cortina, che poi ho anche proseguito negli USA, ma non sono mai stato un buon studente, in quanto amavo molto di più la vita all’aria aperta, anche perché essendo il più piccolo di cinque figli godevo di una certa libertà, forse anche troppa. Non ho mai fatto cazzate, sono sempre stato appassionato di sport, non ho mai avuto grilli per la testa, a parte la passione per le moto da corsa, anche perché noi siamo una famiglia di appassionati di motori. Mio padre, i miei zii Giannino e Vittorio, sono tutta gente che ha vinto ripetutamente le Mille Miglia, il Gran premio di Montecarlo. Avevano la Scuderia Marzotto, che all’ epoca, forse, era anche meglio della squadra ufficiale, ed erano molto amici dell’Ing. Ferrari. Io sono comunque cresciuto con il mito del nonno Gaetano che è stato uno dei più grandi uomini italiani del Novecento e del Dopoguerra, ma potrei dire anche di questi ultimi secoli dal punto di vista di sviluppo industriale del paese, almeno dal punto di vista della visone che ha avuto. Un uomo che ha immaginato cosa l’Italia non doveva diventare e cosa purtroppo, in parte, è invece diventata con lo scollamento tra Nord e Sud, che lui aveva già intuito nel 1946. Nonno Gaetano avvertiva la necessita di infrastrutturare l’Italia costruendo i Jolly Hotel già nel 1949, cinquanta alberghi di cui trentacinque a sud di Roma. Aveva una visione delle città sociali, luoghi dove l’imprenditore rilasciava ricchezza reale sul territorio, anche dal punto di vista dell’esempio. Non soltanto le case a riscatto di Valdagno, la città dell’armonia, la grande filantropia dei premi Marzotto, dove la cultura e il vivere civile si dovevano riunire nell’ azione imprenditoriale. Questo è ed è stato qualcosa che ha segnato molto nel mio cammino imprenditoriale. Un cammino che è stato comunque difficile e molto impegnato, forse anche perché da quinto sono stato lasciato molto alle mie scelte. Credo che un bambino e poi un ragazzo dovrebbe essere seguito di più, ma evidentemente il quinto finisce per essere “abbandonato” per forza. Anche se sono stato molto amato e seguito nelle cose basilari, un po’ meno in quelle che costruiscono la persona di un uomo. Non ho avuto un padre ed una madre che ad un certo punto ti dicono “adesso lo fai”, riferendomi all’ università in un certo modo, ecc.. Mi son sempre ritrovato io a decidere di volta in volta cosa fare. In questo mi ha molto aiutato lo sport, che mi ha insegnato fin da bambino che non ci sono scorciatoie nella vita, e questo mi è molto servito a tener ben dritta la barra ed avere ben chiari gli obbiettivi. Con questo non voglio accusare di niente i miei genitori, se non di aver vissuto con grande attenzione la loro vita, ma in qualche occasione un po’ più di pugno di ferro sarebbe servito. Quando cresci così in maniera un po’ selvaggia, il fatto di non aver preso vie sbagliate nella vita è stato legato sicuramente al buon Dio, che ci ha messo la mano, poiché il rischio c’era. Ovviamente non mi è mai mancato niente, ho potuto far tutto quello che volevo, ho avuto tutto quello che desideravo, dalle belle macchine, alle belle donne e le belle case”.
Tra le belle donne, quella che più ha fatto notizia è stata sicuramente la top model Naomi Campbell, giusto?
“Pensa che per me invece quella è stata la storia meno importante. In realtà ho avuto donne molto più belle e interessanti. Ma non mi sono mai vantato di niente di quello che ho avuto, perché la vita va così e ci sono sempre dei test che ti mettono alla prova. Ho preso anche qualche grande delusione da quelle donne che invece mi aspettavo un po’ di specialità. Ma può succedere, fa parte del bagaglio di esperienza di una persona”.
Di Matteo Marzotto si legge anche che pensa a tutto fuorche a sposarsi, è vero?
“Quella è stata un po’ una credenza popolare, poiché se passi i quarant’ anni e non sei sposato, come sai, iniziamo a credere di essere sempre un po’ degli impenitenti. In realtà io tendo ad essere un po’ spaventato verso queste cose, in quanto non mi piacerebbe fare un errore tale per cui dopo due tre anni ti lasci con dei figli in mezzo. E questo può essere un eterno dilemma, se fare su una spinta emotiva o su una spinta razionale, dilemma che ancora non ho risolto. C’è stato un momento particolare della mia vita in cui io avevo deciso e lei no. Ho avuto tante donne, mi piacciono molto, mi interessano psicologicamente e mi diverte la loro diversità. Non credo di aver mai mancato di rispetto a nessuna, anche se alcune storie sono state solo delle avventure. Oggi, a 46 anni, non sento più quella necessità. Do più valore ad un weekend di sport e di riflessione mia, piuttosto che dover correre da qualche parte nel mondo per fare un fine settimana mondano con una bella donna. Penso che sia giusto così, perché nella vita si cambia anche in queste cose. Ma tendo ad essere un po’ perplesso dagli eccessi. Ad esempio, quando vedo questi cinquantenni che si avvicinano alla bicicletta e fanno due tre anni da fuori di testa e poi mollano tutto. Così come quando vedo un 40-50enne che insegue una 20enne, c’è qualcosa che non quadra, non è equilibrato. Ogni cosa va fatta con una percezione di qualche tipo”.
Tornando a Marzotto imprenditore, com’è iniziata la tua carriera?
“Non ho completato l’Università, facevo Scienze Politiche, ma ho deciso subito di iniziare a lavorare full-time nell’ azienda di famiglia, senza mai approfittarmi di posizioni e facendo un cammino ben preciso, con la famosa gavetta. Questo lungo cammino in azienda Marzotto è durato ben 17 anni, dal 1992 al 2008, ed è stato un periodo di lavoro molto intenso e duro in cui ho fatto poche vacanze e sono diventato Uomo, Manager ed Imprenditore, imparando tante cose. Dopo la vendita della Valentino, ho potuto dedicarmi anche ad altre cose, tra cui il ruolo di Presidente dell’ENIT (Agenzia Nazionale del Turismo), che mi ha fatto conoscere un po’ la macchina della pubblica amministrazione e delle istituzioni. Periodo in cui ho sempre sostenuto e mi sono battuto sul fatto che l’Italia potrebbe rialzare il PIL e vivere di Turismo, solo con le bellezze dei suoi territori e ed i patrimoni artistici che ha. Ma sono anche riuscito ad aumentare il mio impegno verso la Fondazione sulla ricerca per la Fibrosi Cistica, da me fondata, cercando di portare un forte contributo nella parte della comunicazione. Nel 2009 ho provato cosa significa fare l’imprenditore, sempre nel settore dell’abbigliamento da donna, con una start-up, rilanciando il marchio della Maison Madeleine Vionnet che poi ho rivenduto di recente. Questo mi è costato quattro anni senza respiro che mi sono valsi come crescita sia di uomo che di imprenditore”.
Ricolleghiamoci al giovane Matteo Marzotto, che come accennavi prima ha sempre amato e praticato sport. Da cosa hai iniziato e come sei arrivato a questa grande passione per la bicicletta?
“Non ho mai fatto sport di squadra, non so tenere una palla ne in mano ne ai piedi, mi sono sempre piaciuti sport individuali, prevalentemente quelli legati ai motori, ma anche il ciclismo. Tra le due e le quattro ruote, ho sicuramente un fascino maggiore verso le moto, che sono uno sport più eroico, dove sicuramente c’è più tecnica, destrezza e rischio in confronto alle automobili. Le auto costituiscono sicuramente uno sport più challenging, più sfidante, come ad esempio anche le corse che ho fatto nel deserto sono state straordinariamente impegnative. Ma la moto è tutta un'altra cosa, se chiudo gli occhi mentre sono in aereo o in ufficio ed immagino un giro al Mugello o a Silverstone, mi salgono subito le pulsazioni, mentre lo stesso non accade pensando ad un giro in auto”.
Non a caso hai corso nella Supersport per due anni?
“Si, l’ho fatto a 42 anni, quando ormai hai poche velleità in quanto corri con dei ragazzini, alcuni dei quali destinati a diventare dei campioni. Le gare in Supersport, così come la pedalata da Milano a Roma con Lelli e Cassani o la stessa Tirreno-Adriatico, dove c’eri anche tu, le ho fatte con un grande amore per lo sport, ma anche con un grande impegno, cercando di prepararmi dignitosamente con una certa dedizione, e non farlo tanto per fare. Ma come in tutti gli sport, gare, manifestazioni ed eventi sportivi a cui ho partecipato, l’ho fatto anche perché ho sempre portato come modalità comunicazionale la Fondazione per la ricerca sulla Fibrosi Cistica. Così è stato anche alla Dakar, ma pure nella Supersport, dove nel nostro hospitality potevamo accogliere una ventina di ragazzi malati con le loro famiglie, che potevano vivere questo ambiente e passare un bel weekend con noi. Tutt’oggi siamo charity-partner della FMI (Federazione Motociclistica Italiana). Adesso ho in programma di fare qualche gara nel Campionato Europeo GT3 Endurance con una Ferrari 458, dove nelle tappe italiane faremo di nuovo un aggregazione per la fondazione. Anche il ricavato dal mio libro “Volare Alto” (edito da Mondadori), è stato interamente devoluto alla fondazione. Oltre che ad essere un manuale di impegno etico e disciplina rivolto ai 30enni 40enni che vogliono raggiungere il successo senza perdere di vista le regole di rispetto della convivenza, era un modo per divulgare ulteriormente la sensibilizzazione verso la fibrosi cistica”.
Tornando alla bicicletta come, perché e quando hai iniziato?
“Ho iniziato a 17-18 anni, fin dal 1984-‘85 quando la utilizzavo come allenamento per il Motocross. Mi serviva per darmi fiato e gambe, poi con il passare degli anni ho lasciato le corse in moto e mi è rimasta la bici, che con il dovuto rispetto di te stesso e se fatto bene, è uno sport che puoi praticare fino a 90 anni. Adesso la bici mi ha preso e mi ci dedico con molta passione. Poi, io sono uno di quelli che non soffre il giro in bici da solo, e quindi posso uscire anche senza la necessità del gruppo, che poi magari incontro fuori anche nelle mie uscite qua in Maremma, dove ci aggreghiamo tutti insieme. Secondo me, nel cammino della formazione di un uomo il ricordarsi continuamente che bisogna avere volontà per fare le cose è salutare. Non si può ottenere nulla senza volontà. Sono piccole cose, ma la bicicletta ti ricorda ogni volta che non ci puoi salire e provare delle buone sensazioni scalando una montagna se prima non ti sei sacrificato con un po’ di allenamento. Così anche nella vita. Quindi la bici è un ottimo termine di paragone con la vita in generale. Aspettarsi che uno vada forte in bicicletta senza fare nulla, così come aver successo senza essersi informati o senza leggere, è impossibile. Purtroppo anche la vita, così come la bici è faticosa. Andare in bici mi piace molto, mi fa sentire bene fisicamente”.
Partecipi a granfondo? Quali ti sono piaciute di più?
“Ho fatto anche l’ultima GF di Roma, 7 Maratone delle Dolomiti, 3 Milano-Sanremo, 2 Fausto Coppi e 2 Novecolli, manifestazioni bellissime dove però non mi piace quell’affollamento che a volte crea grosse cadute di gruppo, causate spesso da gente che vuole partire a tutta, andare ai 50 all’ora senza saper guidare la bici. Quella che mi è piaciuta di più come organizzazione è stata la Vätternrundan (che vuol dire giro del lago Vättern) una manifestazione in Svezia dove partono16.000 persone suddivise in gruppi da 70 ciclisti ogni due minuti. Una gara di 300km, dove ricordo di essere partito all’una di notte per arrivare alle undici del mattino. Ci ho messo più di 10 ore ma mi sono divertito molto. Il messaggio che vorrei lanciare ai lettori di INBICI e Ruote Amatoriali è questo: anche se non si fanno 40 gare all’anno con il coltello tra i denti, come in certe granfondo, ma se solo prendiamo la nostra auto ed andiamo in un'altra parte d’Italia, scopriremo che pedalando si possono attraversare dei luoghi meravigliosi e tutti diversi tra loro, poiché l’Italia è bella ovunque. In Italia, basta fare 4 ore di auto per coprire un intera regione e goderci panorami e fare sport tanto quanto partecipare ad una granfondo, basterà fare dai 100 ai 200 km. Sono 30 anni che vengo qui in Maremma, e negli ultimi 10-12 anni vivo qui la maggior parte del mio tempo libero, e ancora oggi, ogni volta che esco in bici con Max Lelli che abita qui a due passi o con altri amici, scopro dei luoghi nuovi. Come mi è capitato a San Martino sul Fiora, dove sono entrato nella chiesa di Santa Maria, ho guardato un bell’affresco e mi sono reso conto di quanto sia bella e preziosa l’Italia”.
A proposito di Max Lelli, come è nata la vostra amicizia?
"Ci siamo conosciuti tramite amici comuni quando Max organizzò la sua prima granfondo, dato che lui sapeva che anche io mi dedicavo a questo sport e venivo spesso qua in vacanza. Comunque, non sono nuovo alle granfondo, in quanto è dai primi degli anni ’90 che le pratico, quando all’epoca i lunghi che facevo con il mio amico fraterno Paolo Barilla erano di 240km. Non faccio parte dell’ultima moda della bicicletta, come ogni tanto mi affibbiano in giro. Poi, con Max, ci siamo di nuovo incontrati a Cartoons on the Bay, dove lui si è presentato con la sua schiettezza, così com’è, ossia un campione nella vita. Poi quest’anno, essendo qui a pochi chilometri, abbiamo iniziato a pedalare insieme e a lavorare sulla posizione in bici. Siamo diventati molto amici, e sia con lui che con Davide Cassani è nata l’idea di fare la Milano-Roma prima e la Tirreno-Adriatico poi dove a noi si è unito anche Gianfranco Comanducci (Vice Dir. Gen. Rai). Si è formato questo piccolo “team” dove ognuno mette un po’ della sua esperienza professionale”.
Fonte:
Autore Leonardo Olmi