Accade negli ultimi periodi che nelle gare di gran fondo dei circuiti amatoriali, vengano poste limitazioni sempre più restrittive alla partecipazione degli atleti. Se, da un lato, tali introduzioni regolamentari debbono essere viste positivamente per la volontà delle organizzazioni sportive di rendere sempre più pulito e trasparente l’agonismo, dall’altro lato, fanno sorgere non pochi dubbi e perplessità. E i dubbi e le perplessità riguardano soprattutto le modalità con cui tali limitazioni vengono introdotte e la mancanza di aderenza ai principi basilari dell’ordinamento giuridico, a cui, anche le organizzazioni delle gare di gran fondo dovrebbero allinearsi.
Le limitazioni a cui si fa riferimento in questa sede riguardano l’impossibilità di partecipare alle competizioni citate per gli atleti che in passato siano stati squalificati per doping o per comportamento antisportivo (si vedano ad esempio, tra le altre, le competizioni Circuito Giordana, Circuito Nobili e Supernobili, Marchemarathon e Gf Sportful, in cui viene introdotto il divieto d’iscrizione ai ciclisti che abbiano avuto sanzioni e/o squalifiche in materia di doping superiori ai 6 mesi). L’introduzione a livello regolamentare di limitazioni che prevedono il divieto di partecipazione per chi abbia subito una squalifica per doping in passato ed abbia comunque scontato regolarmente la squalifica, è all’evidenza contraria al principio di irretroattività delle norme, al principio del divieto di doppia sanzione per uno stesso fatto, cosiddetto ne bis in idem ed inoltre non risponde al concetto di carenza di legittimazione attiva degli organi preposti all’organizzazione delle gare oggetto della questione, non potendo questi stessi modificare il codice WADA con l’inserimento di nuove sanzioni.
Questo assunto deriva dal fatto che, gli organizzatori delle gare aderiscono, essendo EPS – Enti di Promozione Sportiva -, ai regolamenti FCI, ai regolamenti CONI ed alle Norme Sportive Antidoping da questo emanate nel rispetto ed in sintonia con le regole antidoping WADA cui devono uniformarsi. Se vi è una gerarchia nei regolamenti, è evidente che gli organizzatori delle gare che sono subordinati al CIO, al CONI, alla FCI e, di riflesso, alla WADA, debbano uniformarsi al dettato normativo sportivo vigente che impone il rispetto dei principi fondamentali dei diritti umani e sportivi nonché il rispetto delle singole norme positive vigneti.
Ci si riferisce, in particolare, ai sopra citati principi di irretroattività delle norme sanzionatorie e d al divieto di irrogare una doppia sanzione ad un atleta già punito e che abbia già scontato la sua pena. Quanto accade oggi a livello delle gare di gran fondo dei circuiti dei vari enti, è molto simile al caso di cui è stata protagonista una famosa ciclista italiana, di recente riabilitata a tutte le competizioni della propria categoria.
Una ciclista professionista di livello internazionale nel 2009 era stata infatti squalificata per una positività riscontrata nel 2008. La ciclista scontava regolarmente la pena inflittale e successivamente riprendeva l’attività agonistica prendendo regolarmente parte alle varie competizioni con il club di appartenenza e con la nazionale azzurra. Nel maggio del 2011, tuttavia, la Federciclismo vietava la partecipazione ai campionati italiani e la maglia azzurra agli atleti sanzionati per doping traendo spunto dalla cosiddetta “Osaka rule”, la regola 45 della Carta olimpica che disciplinava la partecipazione degli atleti ai Giochi olimpici. Una norma che ha di fatto impedito alla ciclista di gareggiare e che le ha sbarrato la porta della Nazionale e quindi la possibilità di giocarsi la qualificazione per le Olimpiadi di Londra 2012.
La Regola 45 della Carta Olimpica veniva però dichiarata invalida e inapplicabile dal Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna con sentenza del 4 ottobre 2011, e, successivamente, anche il Comitato olimpico internazionale, in ottemperanza alla pronuncia del Tas, provvedeva a rimuovere la norma in questione. A livello dell’ordinamento sportivo ciclistico italiano, tuttavia, permaneva la limitazione introdotta nel maggio 2011. La ciclista ha dunque svolto un ricorso basando la richiesta di annullamento della norma regolamentare della FCI sul concetto della violazione del principio di irretroattività delle sanzioni, sancito dal codice penale italiano e dalla Costituzione. Tale principio prevede che la legge non possa disporre che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo e soprattutto nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso.
In sostanza non può essere inflitta alcuna pena superiore a quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. E’ quello che ora avviene nelle gare di gran fondo dei circuiti dei vari Enti, dove improvvisamente gli atleti in passato sanzionati per doping e che già hanno scontato le squalifiche (quando non era prevista per tali condotte l’interdizione perpetua dalle competizioni) si vedono applicata sostanzialmente una nuova sanzione che di fatto infrange il principio di irretroattività delle norme punitive, andando a retroagire rispetto al momento in cui vengono emanate.
Sulla base di un altro principio stabilito dal codice Wada, la Regola 45 della Carta Olimpica non è legittima in quanto introduce una seconda sanzione rispetto a quelle già previste dalla normativa sportiva. Lo stesso ragionamento dovrà dunque essere esteso al divieto sancito dalla Federciclismo, perché la Federazione è emanazione del CONI, il quale è emanazione a sua volta del CIO. La Corte Federale nell’aprile 2012 finalmente scioglieva la riserva sul ricorso presentato dalla ciclista professionista ed annullava le delibere n. 30/2011 del Presidente Federale e la delibera n. 150/2011 del Consiglio Federale mediante le quali veniva introdotta “la modifica del Regolamento dei Campionati Italiani di ogni specialità e categoria inserendo il divieto alla partecipazione ai campionati italiani di ogni specialità e categoria per gli atleti sanzionati per doping”.
La Corte Federale decideva infatti di annullare la delibera presidenziale n. 30/2011 del Presidente Federale e la delibera n. 150/2011 del Consiglio Federale in quanto il TAS e conseguentemente il CIO si sono espressi per l’abolizione della cosiddetta Regola 45 (“Osaka Rule”), norma sulla quale si basavano le delibere della Federazione Ciclistica Nazionale.
La Corte Federale riconosce dunque che le decisioni del TAS e del CIO hanno ritenuto la natura sanzionatoria della Regola 45 e perciò ne hanno decretato l’invalidità ed inefficacia. Tali statuizioni – afferma la Corte Federale – non possono essere prive di conseguenze per il caso relativo alla ciclista anche alla luce di quanto previsto dalla Legge n. 280/2003 ove all’art. 1 si legge che “La Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale”. Essendo quindi le Federazioni Nazionali articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale, ed avendo quest’ultimo ritenuto che la previsione di non partecipazione ad una specifica competizione per i soggetti sanzionati con squalifica di oltre sei mesi per doping abbia natura lato sensu sanzionatoria fa sì che la previsione inserita nelle delibere impugnate dal ricorso della ciclista professionista sia illegittima e come tale debba essere annullata proprio per tali principi enunciati dalla ciclista. Fra le argomentazioni esposte dalla ciclista, quella che più ha convinto la Corte Federale è stata quella relativa alla carenza di legittimazione attiva della Federazione Ciclistica Italiana, non potendo la stessa modificare il codice WADA con l’inserimento di una nuova sanzione. La Corte Federale ha infatti ritenuto che la Federazione Ciclistica Nazionale non aveva né ha la potestà di modificare norme che il CIO e le Federazioni Internazionali hanno accettato aderendo al codice WADA.
Attualmente la ciclista è stata completamente riabilitata e gli organi apicali della Federciclismo hanno di recente speso parole di elogio della stessa sottolineando che la Federazione si trova in posizione debitoria nei confronti della ciclista per il fatto che per molto tempo – e in modo illegittimo – le è stato impedito di partecipare alle competizioni. Stupisce, quindi, che a livello amatoriale, in aperto contrasto e controtendenza rispetto alla strada imboccata e percorsa sia dalla FCI e sia dal CONI, vengano introdotte limitazioni illegittime che vanno a danneggiare gravemente gli aspiranti partecipanti.
E l’atteggiamento tenuto dalle organizzazioni del circuito amatoriale stupisce ancor di più se si pensa che l’organo maggiore del ciclismo italiano, il presidente Renato Di Rocco, ha espresso parole favorevoli e positive nei confronti dell’atleta che ha vinto la sua battaglia nei confronti di una normativa illegittima che le impediva di gareggiare nelle competizioni della propria categoria. Pertanto se a livello professionistico il principio di irretroattività – richiamato anche da un illustre esperto di diritto costituzionale in un parere rilasciato sulla questione trattata - e il divieto di doppia sanzione, soprattutto se introdotto da un’autorità non a ciò competente, vengono alla fine rispettate, si auspica che anche a livello dilettantistico ed amatoriale gli organi preposti prendano coscienza della questione e degli errori regolamentari che stanno commettendo.
Se appare sacrosanto punire chi usa sostanze dopanti, altrettanto sacrosanto è che un soggetto venga punito per ciò che commette dopo che la sanzione è stata introdotta, e che non paghi invece per un comportamento precedente ad una squalifica già scontata. Inserire nuovi divieti per atleti che hanno già scontato le proprie pene, magari numerosi anni addietro, appare antigiuridico ed ingiusto. Non resta che attendere con fiducia che gli organizzatori delle competizioni che hanno introdotto sanzioni retroattive compiano una spontanea quanto rapida marcia indietro, per porre fine ad un divieto ingiusto e rimediare a situazioni inique perpetrate in nome di una poco chiara giustizia ed onestà.
Avv. Filippo Mansutti Avv. Alessandro Carchio