Biagio Nicola Saccoccio dall’assemblea di Fiuggi 2009 è il Presidente vicario dello CSAIn. E’ un dirigente che da anni fa parte del mondo della promozione sportiva e che, dunque, ha vissuto e vive esperienze importati legate allo sport sociale e in particolare al ruolo delle Associazioni Specialistiche che operano in CSAIn, con un occhio particolare al ciclismo amatoriale, ambiente in cui, a vario titolo, opera da quasi 30 anni.
Presidente, la sappiamo impegnata da molti anni nello sport, com’è iniziata la sua esperienza?
«Tutto nasce casualmente dando corpo all’età di trent’anni alla mia passione per il ciclismo: mi ritrovai a pedalare in gruppo e, conseguentemente, a divenire un dirigente, prima di ASD, poi provinciale, quindi nazionale nella sezione specialistica di ciclismo UDACE (ora CSAIn UDACE). In seguito, grazie all’articolata e speciale simbiosi tra le due strutture, ho rivestito la delega alla rappresentanza e dal 2001 dapprima consigliere e membro di giunta, poi da Fiuggi 2009 eletto all’attuale ruolo di vicario dell'EPS CSAIn».
Quindi è un dirigente nato sul campo?
«Credo che la definizione sia calzante al mio caso. Le mie origini di praticante attivo sono state per me molto formative (e tutt'ora utili dato che se pur in modo blando sono rimasto un praticante attivo), dandomi modo di assimilare in modo diretto le problematiche dello sport dopolavoristico e del ciclismo ricreativo in particolare, ma più in generale dell’intero mondo dell’associazionismo e delle attività a fini sociali».
Prima di trattare aspetti più specifici, qual è in sintesi il suo pensiero sull’associazionismo e sul ruolo degli EPS?
«Confermo che l’associazionismo in Italia è molto radicato nella cultura popolare, difatti troviamo una moltitudine di organizzazioni che, anche autofinanziandosi, svolgono ruoli apprezzabili a favore della società. Queste peculiarità sono un vero patrimonio, così come ritengo sia molto importante il ruolo degli EPS che, a differenza delle Federazioni con compiti più prettamente sportivi/agonistici, oltre a promuovere lo sport ricreativo, ma non solo, svolgono una funzione importantissima anche verso finalità sociali».
Il suo pensiero sulla gestione dello sport in Italia?
«La domanda richiederebbe una risposta articolata. Mi limito a dire che andrebbero destinate più attenzioni e risorse per le attività sportive e sociali degli EPS, organismi che sono i veri artefici dello sport di massa e delle attività sociali e che coinvolgono milioni di persone. A me pare che non ci sia una giusta proporzione tra le ingenti risorse destinate allo sport ufficiale e quelle a sostegno dello "Sport per Tutti", risorse che non sempre portano ai risultati di vertice auspicati. Anche per questo il mio pensiero va verso quegli organismi che svolgono attività sportive e culturali d’interesse collettivo avvalendosi solo di risorse limitate, talvolta istituzionali e comunque autofinanziate».
E il ruolo dello CSAIn nel contesto generale degli EPS?
«Non voglio apparire di parte, ma il mio è un giudizio obiettivo. In primo luogo va messa in evidenza l'apoliticità e, non secondariamente, la totale ramificazione sul territorio che ne fanno uno degli EPS preminenti, anche grazie all'ampio panorama delle attività praticate. Attività che vengono svolte anche attraverso organizzazioni sportive, culturali e del tempo libero di carattere specifico che operano all'interno, le cosiddette Associazioni Specialistiche che hanno fatto proprie le finalità dello CSAIn, tanto da diventare parte integrante e formale dell'Ente e che, diversamente, non avrebbero un ruolo ufficiale nello sport italiano».
Può specificare meglio questo aspetto legato alle Associazioni Specialistiche?
«Ritengo che il mondo sportivo ne conosca i vari aspetti e credo ci sia poco da aggiungere a quello che la storia stessa dell'Ente ha scritto tramite il loro operato. Aggiungo che sono organizzazioni nazionali con un loro vissuto, ma che per operare secondo i requisiti dalle normative di legge previste per lo sport, hanno scelto di essere integrate e parte attiva dello CSAIn, uniformandosi alle norme statutarie e tesserandovi contestualmente i propri associati, i quali rivestono in CSAIn anche ruoli istituzionali e di cui io stesso ne sono un’espressione. Quindi essendo parte di CSAIn adempiono al loro ruolo secondo la normativa CONI. Queste sono le imprescindibili condizioni, diversamente non ne possono far parte: non sono ammissibili affiliazioni di secondo grado».
E, infatti, lei è anche dirigente di una di queste organizzazioni specialistiche?
«Sì, rivesto anche il ruolo di vice presidente vicario dell’associazione UDACE-CSAIn che aderisce all'EPS CSAIn dal 1981 e con cui nel 2010 si è aggiornata, anche grazie ai suggerimenti degli uffici CONI, l’integrazione associativa, costituendo la sezione ciclistica dello CSAIn denominata CSAIn UDACE. Tengo a sottolineare che mai ho fatto prevalere una parte sull’altra, adempiendo ai miei ruoli con assoluta obiettività».
In sostanza in che cosa consiste questa “intesa associativa”?
«Potrei parlarne in modo generico ma essendo dirigente di una di queste faccio riferimento a quella in cui sono coinvolto in prima persona, anche se le stesse condizioni sono operative in tutte le 14 "Associazioni Specialistiche" dello CSAIn. In sintesi le ASD di provenienza “UDACE” che si affiliano a CSAIn e che svolgono prevalente attività ciclistica, sono automaticamente iscritte alla sezione ciclismo dell’Ente e quindi tutti gli aderenti sono affilati e tesserati CSAIn. La sezione specialistica del ciclismo “CSAIn UDACE”, pur conservando prerogative proprie, svolge tutte le attività sportive, turistiche, promozionali e formative di settore, secondo le normative tecniche e organizzative, nonché in ottemperanza a quelle dettate dalle federazioni sportive nazionali del ciclismo e dal CONI, disciplinandone l'attività d'intesa con CSAIn. Il tutto tramite un rapporto organico e di collaborazione che si estrinseca nell'affiancamento nelle sedi dove è necessario o utile. Ciò avviene tramite apposite commissioni territoriali di settore. Questa particolare azione simbiotica non rappresenta un vincolo ma un’opportunità, anche se talvolta, non essendo stata colta subito per concepibili intenzioni preconcette, ha inizialmente rallentato, consentitemi il gergo d'impresa, la produttività intesa come benefici, su cui non sto qui a disquisire, verso lo status di ASD, che è poi ciò che conta».
Ma perché lo CSAIn non gestisce in modo diretto queste attività cosìddette specialistiche, visto che ne governa altre in prima persona?
«La domanda è pertinente. Al riguardo andrebbe rievocata la storicità dei rapporti simbiotici, nonché le motivazioni che nel 1978, con la soppressione dell'ENAL, indussero diverse associazioni che già operavano sotto l'egida dell'Ente disciolto, ad aderire a CSAIn in quanto EPS con approvazione CONI ed Ente di Assistenza Sociale con riconoscimento Ministeriale. Adesioni poi riformulate, in rapporti e sostanza, conseguentemente alle normative e leggi intervenute negli anni e di cui abbiamo già detto. Ciò premesso ritengo che lo CSAIn sia nelle piene facoltà e capacità di gestire in modo diretto l'intero panorama degli sport e delle attività socio-culturali statutariamente previsti ma, a tutt'oggi non lo fa per salvaguardare e rispettare consolidati rapporti ultradecennali con queste grandi e specifiche organizzazioni di cui peroriamo con convinzione le intese. Tuttavia ritengo che lo CSAIn sia pronto a farlo, e con determinazione, nel caso in cui venissero meno i requisiti d’intesa di cui abbiamo accennato».
Quali caratteristiche indicherebbe per una figura dirigenziale primaria che possa dare piena attuazione ai fini dell'Ente?
«Un buon dirigente lo si può definire tale se riesce a dare concretezza e serenità al proprio organismo e piena applicazione ai fini sociali, coinvolgendo e motivando tutte le componenti nel rispetto dello spirito democratico previsto dallo statuto. Ciò detto, ritengo che tutti i dirigenti (così come ogni socio) siano degni di lode, in special modo per lo spirito volontaristico ma, tra tutti, mi sento di dare un’importanza rilevante ai dirigenti di base, quali sono quelli di ASD, quelli territoriali dell'Ente e delle sue commissioni, figure indispensabili per adempiere agli scopi statutari».
Quindi i dirigenti di vertice sono meno importanti?
«Non ho detto questo. Il dirigente di vertice è importantissimo perché crea le condizioni affinché alla base si possa realizzare ciò che ho appena affermato. Ma ritengo anche che un buon dirigente nazionale debba saper tenere saldamente e con obiettività le fila dell’Ente, essere pronto a cogliere e diramare le nuove normative, dare chiare indicazioni gestionali e tracciare stabilmente il percorso anche dal punto di vista "socio/politico", mostrando in questo efficacia e determinazione. Tutto questo con professionalità e senza molto apparire».
Lo dice perché lei stesso appare sempre discreto?
«No, assolutamente, d'altronde io mi sento soltanto uno delle migliaia e migliaia di soci. Lo dico perché da sempre amo guardare alla sostanza delle cose senza esibizionismi. Anche se talvolta ho il presentimento che a causa del mio riservato ma concreto modo di operare, non tutti conoscono realmente la mia persona. Ma questo è un aspetto che ha poca importanza. L'importante è assolvere onestamente al ruolo cui si è chiamati. Da sempre, e non solo nello sport, onoro ciò che faccio con serietà. Non so se ci sono sempre riuscito, comunque sento di avere la coscienza a posto e, al riguardo, mi permetto di citare una frase storica che recita: “L’albero è conosciuto per i suoi frutti, l’uomo per le sue azioni, come la dignità non consiste nel possedere onori, ma nella coscienza di aver fatto in modo di meritarli”».
Presidente, la sappiamo anche impegnato nella "Consulta Nazionale Ciclismo"…
«Ho l'onore, ma forse è il caso di dire l'onere, di far parte di questo organismo che è unico nel suo genere, perché non previsto per altri sport e questo è già un aspetto positivo. Lo ritengo necessario per appianare le tante problematiche che investono il ciclismo ricreativo seppure agonistico. In primis le problematiche di carattere assicurativo, disparità di condizioni che spesso hanno portato a contenziosi, ora finalmente appianate a seguito di un serrato ma sereno confronto tra le parti, di cui io mi onoro di esserne stato promotore. Non secondaria è la promozione del rapporto di convivenza e collaborazione sul territorio a causa del sovrapporsi di manifestazioni, come la libera circolazione dei praticanti sfatando conflittualità derivanti dai diversificati costi associativi, come l'applicazione delle sanzioni e altro. Sono convinto (e i risultati mi danno ragione) che solo confrontandosi si risolvono tutte le questioni, e nel caso specifico, se pur con qualche reminescenza ritengo che si siano raggiunti gli obiettivi prefissati».
Spesso il ciclismo è oggetto di cronaca per fatti di doping, il ciclismo amatoriale ne è esente?
«Tutt'altro, purtroppo anche nel ciclismo amatoriale il fenomeno è dilagante. Ed è ancor più preoccupante perché si sviluppa in un ambiente dove le vere finalità sono quelle del vivere sano e del benessere fisico. Invece vediamo padri di famiglia che oltre a deridere loro stessi, mettono in discussione i veri valori della vita che dovrebbero trasmettere ai loro figli. Non facciamo di tutta l'erba un fascio, ma il problema esiste. Purtroppo, talvolta, persino la complessa normativa vieta di procedere nell'azione repressiva, come è accaduto nello specifico alla sezione di ciclismo CSAIn UDACE. In ogni caso ritengo che la vera repressione si faccia soprattutto con una corretta informazione, quindi prevenzione, cosa che lo CSAIn UDACE cerca di mettere in atto da sempre e su cui lo stesso CSAIn è attento e sensibile».
Un’ultima domanda: è soddisfatto del suo impegno associativo?
«Devo dire di sì. Credo di aver dato il mio fattivo contributo, forse da alcuni ritenuto modesto ma positivo a giudizio di molti ed è per questo che sono soddisfatto. Tuttavia sono convinto che si possa fare di più, e con tale auspicio continuo nel mio impegno guardando al futuro con serenità e senza rammarico».
Fonte: mensile Tempo Sport Csain
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