Nel bel libro di Roberto Livraghi “Pista! Alessandria capitale ciclistica della Belle Epoque” si ricorda nel dettaglio la prima corsa di velocipedi ad Alessandria.
E' l’8 giugno del 1869 in occasione di una fiera. Nella Piazza d’Armi vecchia, prima delle 6 del pomeriggio, ora prevista per la gara, si espone il regolamento. Questo in sommi capi: percorrenza fissata in 1600 metri; non più di sei partenti per batteria; premi ai primi tre; il vincitore porta a casa 100 lire, il secondo 50 e il terzo una “ricca bandiera”. Al via si allineano in 11. Vince Enrico De Agostino, di Torino che copre la distanza in 3’ netti, rifilando 20” al secondo.
Si tratta di una gara ufficiale, con concorrenti provenienti anche da fuori regione e con un montepremi importante. Una delle gare che nascono in questo periodo. Gli stessi giorni si corrono gare su pista anche a Pavia (19 maggio), a Cirié, Padova (25-29 luglio), a Udine (22 agosto).
Il 23 dicembre 1871 si corre la Milano Novara, di 46 chilometri (vittoria di Giuseppe Bagatti Valsecchi) e il 25 maggio del 1876 si celebra la prima edizione della Milano Torino, di 150 chilometri. La bicicletta, in questi anni, ha rapito il cuore di una società in fermento. Racchiude lo spirito del tempo che cavalca con ottimismo verso un futuro radioso di pace e prosperità. E’ la stagione, quella a cavallo dei due secoli, della nascita delle società di massa, della scoperta del tempo libero, dell'esposizioni internazionali.
Fioriscono società sportive, in Italia e in Europa. Il ciclismo italiano nasce per germinazione spontanea, sospinto dalla forza di un cavallo di ferro che accorcia le distanze, anche sociali, all’insegna di un dualismo che lo caratterizzerà nel corso di questi 136 anni di vita. L’Unione Velocipedistica Italiana sorge, dopo una falsa partenza a Torino nel 1884 (dove 11 società non si mettono d’accordo su alcuni punti dello statuto), a Pavia nei giorni 6 e 7 dicembre 1885 per rispondere alla voglia di sport manifestatasi negli anni precedenti. Come necessità (ed è la genesi di ogni sport moderno) di uniformare le regole di competizione, stilare calendari, permettere il confronto uguale e paritario. Neanche 10 anni dopo (1894), in risposta alla dimensione sportiva, sorge anche il Tour Club Ciclistico Italiano, che esalta invece l’utilizzo turistico della bicicletta.
Tesi e antitesi dell’uso della bicicletta, in una felice dialettica che accompagnerà tutta la storia del nostro movimento. La contrapposizione di idee e personaggi* disegna percorsi lungo i quali è cresciuta la società italiana. Così in questi 136 anni l’Italia si è fatta anche all’insegna di Binda o Girardengo, Coppi o Bartali, Maspes o Gaiardoni, Adorni o Gimondi, Saronni o Moser… fino ad arrivare ai giorni nostri. Ed ancora oggi la bicicletta fa parlare di se e si propone in diverse vesti: come mezzo per l’attività sportiva e per conoscere il mondo, per il lavoro e per la vacanza...
La Federazione, da quel 6 dicembre 1885 ne ha percorsa di strada. Dalle 17 società di Pavia è arrivata a quasi 3000, regalando allo sport italiano momenti indimenticabili: dal bianco e nero delle prime gare fino all’esaltante record del mondo a colori del quartetto a Tokyo (e che colori!). Non ha perso il gusto di interrogarsi e discutere, di elaborare idee ed anche delle grandi contrapposizioni. Continua, però, a lavorare per un futuro migliore, per le nostre città, per i nostri ragazzi e per il nostro Paese, con la bicicletta e nel segno di valori che in 136 anni sono diventati universali.
Il 6 dicembre, per questo motivo, è la festa di tutte le società, dalle centenarie a quelle che si affiliano per la prima volta; è la nostra festa. Auguri FCI!
Antonio Ungaro
* Per chi volesse approfondire il tema delle grandi rivalità, in questi giorni è stato presentato il libro di Dario Ceccarelli (Sole 24 Ore) "Quasi nemici, le grandi rivalità che hanno infiammato la storia del ciclismo" (qui)
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