"Quando la strada sale non ti voltare: sai che ci sarò". Così Enrico Ruggeri cantava Felice Gimondi in uno dei suoi refrain più classici, "Gimondi e il Cannibale". E in effetti, la carriera del grande campione italiano è indissolubilmente legata - purtroppo e per fortuna - a quella del cannibale per antonomasia, all'anagrafe Eddie Merckx.
Le loro epiche battaglie, sulle Alpi e i Pirenei, hanno scritto la storia del ciclismo e, nonostante il fiammingo venga ricordato come il corridore più vincente di sempre, Gimondi è riuscito comunque a conquistare Giro d'Italia, Tour de France, Vuelta a Espana, Parigi-Roubaix, Milano-Sanremo, Giro di Lombardia e campionato del mondo, prima di chiudere la carriera - ormai appagato - nel 1979.
Ma il ciclismo, si sa, è qualcosa che difficilmente ti esce dalle vene: "Tutt'ora - spiega Gimondi - esco ogni domenica per fare un giro in bicicletta e qualche bella passeggiata: il ritmo, lo ammetto, non è più quello di una volta e le distanze si sono un po' ridotte, ma cerco comunque di tenermi sempre in forma. Fino a qualche anno fa riuscivo ancora a prendere parte alle Granfondo: nei percorsi brevi potevo ancora dire la mia, anche se ovviamente partecipavo più che altro per divertimento".
Da anni ormai Felice è anche l'organizzatore di una competizione amatoriale tutta sua, molto simile alla Nove Colli, che si tiene nella provincia di Bergamo: "Ma non ci sogniamo neanche di imitare la Nove Colli, che rimane il massimo nel circuito delle Granfondo! Purtroppo da qualche anno abbiamo riscontrato un sensibile calo nelle iscrizioni: la crisi economica ha reso proibitivo, per alcuni cicloamatori, prendere parte ad una competizione che impone un giorno di ferie e l'alloggio in albergo. Anche in questo senso la Granfondo romagnola è il top: riesce a limitare l'esborso per il cicloturista, creando un grandissimo momento di aggregazione".
Momento di aggregazione che, secondo il grande campione, non dev'essere inquinato dalla ricerca esasperata del risultato: "Ho riscontrato, con dispiacere, un aumento della componente agonistica in tutte queste competizioni cicloturistiche, ma non so se sia un bene o un male: da una parte, il fatto che si tengano ritmi elevati rende le Granfondo tecnicamente più spettacolari, ma d'altro canto la competizione, l'agonismo esasperato rischia di alterare lo spirito ed i principi con cui queste corse sono state create. Il ciclismo, a questi livelli, dev'essere divertimento, passione, spirito di gruppo: normale che esista un minimo di sana rivalità, ma guai ad esagerare. I Cannibali, quelli che vogliono vincere sempre, lasciateli alla storia". E se lo dice lui...
Fonte: tratto da InBici di Dicembre
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