Giovinazzo è un posto che m’ha sempre incuriosito, dai tempi delle “Domeniche Sportive” condotte, guardacaso, da Adriano De Zan in cui si leggevano i risultati delle partite di hockey su pista. Conoscevo tutte le città del campionato, tranne Giovinazzo, che proprio non avevo idea dove si trovasse.
Così può accadere che una tappa del Giro d’Italia serva anche a rispondere a vecchi quesiti e a prendere atto che non aver mai visto Giovinazzo è una bella fregatura, perché è davvero tanta roba. D’altro canto, magari qualcuno se l’è dimenticato, siamo in Puglia e, dopo Giovinazzo, il gruppo passerà da Trani, Margherita di Savoia, sfiorerà Canne e, soprattutto, soggiacerà allo spirito che qui aleggia su ogni cosa da sette secoli e mezzo: quello di Federico II.
Perciò, fatto un giro la mattina presto in piazza Vittorio Emanuele dove i corridori partiranno, ho salutato la carovana e girato la macchina verso Ruvo di Puglia – anche questo un posto che è meglio prima o poi visitare – e sono salito a Castel del Monte, perché non si può essere ospiti qui senza rendere omaggio all’imperatore.
Comunque non è che mi sia disinteressato della corsa anche perché immaginavo come si sarebbe sviluppata la tappa. Già prima di Trani sarebbe partito il primo tentativo di fuga, che il gruppo avrebbe lasciato andare, almeno fino a Manfredonia, forse anche dopo se Dario Cataldo, Giulio Ciccone e Giovanni Visconti non avessero scosso il plotone per prendere più punti possibile sopra Monte Sant’Angelo.
Continua a leggere sul sito di SenzaGiro il racconto completo di Marco Ballestracci (illustrazione di Marija Markovic) al link https://senzagiro.com/2020/05/17/9a-tappa-giovinazzo-vieste/?fbclid=IwAR3PluWC08eDwYEiI4cUrEfFr9DfSOCdumFhvr4wAk6ptDhezLQGip7Onbs
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